sabato 27 novembre 2010

Traduzione dei Post - Post Translation

A partire da oggi tutti i post, anche i primi, saranno disponibili anche in lingua inglese (solo datemi 2 o 3 giorni per la traduzione): se non vedete direttamente la traduzione in inglese vi basterà seguire il link dal titolo "English Version" che sarà presente alla fine di ogni post e sarete ricondotti ad un documento di GoogleDocs.
Tutte le traduzioni son fatte da me, quindi siate clementi se non sono perfette al 200%! :D

NB. Nel caso in cui qualcuno dei link non funzionasse, non fatevi problemi a dirmelo :)


Baci!



From now on every post, even the first ones, will be available in English, too (just give me 2 or 3 days for the translation): if you don't see the English translation directly, you just have to click the link "English Version", which will always be at the end of a post and you will be reconducted to a GoogleDocs Page with the English text.
Every translation will be made by myself, so please be understanding if they're not 200% correct! :D


NB. If someone is not able to access to a link, please tell me that and I'm going to solve the problem as fast as I can! :)




Kisses

Il Grillo Parlante - The Talking Cricket





Luogo: American Donuts, via Sirtori (nei pressi di Porta Venezia/ Piazza Oberdan), localino  “American Style” e luogo di ritrovo delle più svariate personalità. Tra di esse ieri c'era questo ragazzo: mingherlino, con una t-shirt slavata dalle maniche arrotolate, gay fino al midollo, che, inaspettatamente, tra una patatina (fritta) e l'altra tira fuori questa perla: "Vedi, dove lavoro io (azienda imprecisata -ergo non sono riuscita a origliare sentire- nell'ambito della moda) le donne sono tutte uguali: vestono tutte allo stesso modo, vanno tutte nelle stesse palestre, mangiano tutte le stesse cose e vanno tutte in vacanza negli stessi posti; dove sta allora, mi chiedo io, la creatività?". A seguito di questa massima si crea un acceso dibattito tra i membri del suo tavolo. Nel frattempo, la mia amica torna dal bagno e, guardandomi, capisce che mi stavo beatamente facendo i fatti altrui. Comunque, ormai interrotta la mia opera di intercettazione, riprendo il mio "American Lunch" e mi immergo nuovamente nelle (pazze) conversazioni con la mia sopracitata amica.
Tuttavia, tornata a casa, l'affermazione di quell'estroso grillo parlante mi è rimasta nella testa e così mi metto (ahimé, anzi, ahivoi) a ragionarvici su. Ha perfettamente, dannatamente ragione. Questa dilagante standardizzazione degli usi e costumi è quanto di più nocivo (guerre, pestilenze e calamità naturali a parte) possa capitare all'interno di una comunità culturale. Citava Orwell in "1984" (un libro EPICO, che dovrebbe essere a mio parere disposto come libro di testo nelle scuole), elencando due delle (tre) massime del Partito: "La schiavitù è libertà. L'ignoranza è forza." Niente di più vero. Ora vi starete chiedendo che cosa due proposizioni così forti abbiano a che fare con il discorso del ragazzo di ieri; provo a spiegarmi, partendo dal primo enunciato "la schiavitù è libertà": nel momento in cui una persona mira al potere (sempre citando Orwell: "Il potere non è un mezzo, è un fine"), essa deve sempre di più sottostare a determinate regole non scritte, poiché "ci si aspetta" che viva in un "certo" modo. Ora, applicando questo discorso nell'ambito del quotidiano (leggasi: al lavoro o, per quanto mi riguarda maggiormente, in università) è relativamente comprensibile capire il perché ci siano sempre più individui (o presunti tali) che, mossi dalla volontà di essere tra le persone "di un certo livello" (e quindi mirare "al potere", anche solo limitatamente al campo in cui stanno operando), si comportano, vestono ed atteggiano tutti allo stesso modo, seguendo dettami "non scritti". Questo modo di vivere rappresenta, secondo me, quanto di più limitante e controllabile possa esistere all'interno di una società (pseudo)sviluppata. E qui arriva la seconda parte della citazione di Orwell: "l'ignoranza è forza"; già nel 1948 (anno di stesura del romanzo) l'autore aveva compreso come, limitando la libertà della persona (attraverso, in questo caso, quelle “regole non scritte” che ho accennato poc’anzi), si limita anche la capacità della persona stessa di agire con la propria testa: essa, nonostante la posizione di rilievo che occupa all'interno del proprio ambiente, non può esercitare il proprio intelletto (o la propria creatività, anche se, in sostanza, una non può esservi senza l’altra) "oltre un certo limite", poiché, oltrepassando una particolare soglia, ha la possibilità di mettere a rischio la tanto voluta posizione socio/economica, mentre invece, rimanendo in una, seppur sopportabile, "ignoranza" (aka mediocrità) non corre questo pericolo e può facilmente rimanere nella propria "zona sicura".
Mi sembra abbastanza inutile dire che, a mio parere, indirizzando tutto questo discorso al campo della moda, ciò che ne consegue non è altro che uno svilimento della natura e dell'intelligenza umana da entrambe le parti (ossia dalla parte di chi "crea" e di chi compra): persone che vestono allo stesso modo iniziano a creare per persone che vestiranno in maniera altrettanto simile. Si tratta “naturalmente” di un circolo vizioso che, a lungo andare, non farà altro che impoverire l'arte di Fare Moda e creare Bellezza, perché, ricordiamolo, i giovani di oggi saranno i “creatori” di domani.
Nonostante però il fatto di vedere con i miei occhi praticamente tutti i giorni in università questa ostinata volontà di apparire (ed essere?) tutti uguali, c'è un fatto che mi risolleva il morale, ossia la presenza di persone che riescono ad avere quella che viene chiamata Personalità e sono in grado di scegliere per sé stessi e di esprimersi nei modi più diversi e personali; anche, e non in ultimo, attraverso l'abbigliamento.
Ho l’impressione che, dopo tutta questa riflessione nata dalle sue brillanti parole, se lo rivedrò, dovrò offrire (almeno) un caffè al mio (prezioso) grillo parlante.
E voi, o miei (esistenti?) lettori, che cosa ne pensate?


Vi auguro uno splendido sabato pomeriggio! :)

giovedì 25 novembre 2010

(Vs) il leopardato - (Vs) the Leopard Print




Ultimamente lo vediamo ovunque: su riviste, nelle vetrine e persino indossato da persone in "carne" ed ossa. È inutile negarlo, il leopardato è uno dei trend imperanti dell' Autunno/Inverno 2010.
Ed è altrettanto inutile dire che già non lo sopporto più.
I negozi sono letteralmente invasi da stampe leopardate, le quali vengono applicate indistintamente su accessori e capi d'abbigliamento, non sempre però con parsimoniosa attenzione.
Il mio categorico rifiuto nei confronti di questo nuovo "trend" non scaturisce però dal fatto che non mi piaccia la stampa in sé (cosa che, btw, non era vera fino a che, appunto, non è scoppiata questa mania), ma piuttosto dal fatto che, appena si registra una forte presenza di un determinato tessuto/colore/stampa/capo d'abbigliamento durante le sfilate, esso venga presto definito "trend" e venga da subito prodotto in grandissime quantità dalle grandi catene d'abbigliamento (vedi Zara, Mango etc) senza un minimo di discernimento.
Nulla di più assurdo! Se, come è stato per esempio il caso delle ultime sfilate A/I, Dolce e Gabbana, Moschino e Balmain (solo per citarne alcuni) decidono di creare dei capi a stampa leopardata, ciò avviene  perché alla base vi sono (o almeno, vi dovrebbero essere) un certo criterio e una certa idea di fondo (che, per carità, possono piacere o meno) riguardanti la visione globale della collezione che si sta presentando. Trasferendo però la stessa stampa su altri capi fini a sé stessi, si va in sostanza a perdere quell'idea di base e ciò che ne risulta non è altro che un capo o un accessorio senza un minimo di significato. 
Ed è proprio per questo che mi innervosisco quando sento frasi del tipo "oh, quest'anno va il leopardato!", perché vuol dire che ci si è fermati ad un aspetto puramente pratico e superficiale dell'utilizzo, in questo caso, della stampa in questione e non si è invece cercato di comprendere il reale motivo per cui un determinato pezzo è stato inserito all'interno di una particolare collezione. Situazioni del genere infatti mi fanno inorridire: sedicenti "fashion victims" che prendono capi non tanto perché piacciono, quanto più perché "di tendenza", ignorando completamete ciò che, con quella stessa stampa, voleva essere raccontato dallo stilista nella collezione originaria.
Ecco perché quest'inverno non riuscirei, anche volendo, ad acquistare un solo capo leopardato: mi sembrerebbe come di "fare un torto" agli stilisti sopraelencati che, nel fare (bene) il proprio lavoro, avevano inserito il leopardato per raccontare una storia più grande.

E voi, che cosa ne pensate della stampa leopardata e/o dei trend in generale? Sarei molto curiosa di leggere le vostre opinioni!!


Vi auguro una splendida serata! :)


English Version

mercoledì 24 novembre 2010

Lanvin for H&M: io NON c'ero - Lanvin for H&M: I wasn't there

Ieri, 23 novembre 2010, è stata una data storica. No, non perché si è celebrato il 30esimo anniversario del Terremoto in Irpinia e neanche perché ho aperto ufficialmente questo blog, ma perché da ieri (o per meglio dire, ieri) in 200 stores selezionati in tutto il mondo (7 in Italia) è stata messa in vendita l’ormai celeberrima collezione “Lanvin Loves H&M”.
So che non sarà certamente il modo più simpatico per introdurmi nel (già sovrappopolato) mondo dei "fashion blog", ma non potevo esimermi dal parlare dell'enorme (gonfiato?) fenomeno del momento.
Premettendo che ho sempre amato alla follia l'eleganza dello stile Lanvin (come non ricordare, per citare solo un esempio, il delizioso miniabito da sposa indossato da Sarah Jessica Parker nel primo film di "Sex and the City"?) e che circa il 40% del mio guardaroba proviene da H&M, secondo me in questa collaborazione qualcosa non ha funzionato.
Tutto quello che ho visto in questa collezione (parlo della parte femminile, sull’abbigliamento maschile non mi ritengo in grado di esprimere commenti) sono stati capi d'abbigliamento spesso importabili, ricopiati, di bassa qualità e dai prezzi ingiustificati. Mi spiego meglio: avrete letto ovunque come diversi pezzi, soprattutto abiti, siano stati liberamente realizzati a partire da bozze di collezioni passate Lanvin, in particolare dalla collezione P/E 2009 (basti pensare al famoso vestito monospalla rosa accesso, che nella sfilata in questione era invece di uno splendido color rosso acceso); ora, riferendomi in particolare agli abiti, c'è da dire che ciò che mi ha fatto particolarmente specie non è stata tanto la palese ricopiatura, quanto più il fatto che si è pensato di copiare, insieme al modello, anche il metodo di realizzazione del capo originale. Nulla di più sbagliato. Il cosiddetto “taglio a vivo” dà un effetto semplicemente splendido se effettuato su tessuti di ottima fattura, ma se invece la stoffe impiegate sono di bassa qualità, l’effetto finale è quantomeno orrido, in quanto la tecnica di taglio causerebbe alle estremità del capo la fuoriuscita di fili e il lavoro sembrerebbe incompiuto (ricordo inoltre  che si presuppone che gli abiti in questione vengano indossati durante circostanze particolari -vedi aperitivi ecc-; ora mi chiedo: chi mai metterebbe ad un evento di un certo tipo un vestito da cui pendono visibilmente dei fili? La risposta la lascio a voi). Comunque, H&M avrà davvero tanti pregi, ma se solitamente è costretta a rinunciare ad una parte di qualità per abbattere i costi di produzione (puntando quindi sulla quantità di capi venduti), qui aveva invece la possibilità di offrire alle proprie clienti un’esperienza nuova: avrebbe potuto innalzare il livello qualitativo dei suoi capi, giustificando così un leggero aumento dei prezzi.
Quello che è stato fatto invece è, a mio parere, il peggio del peggio: non solo è stato mantenuto il medesimo livello (basso) di qualità, ma i prezzi sono stati notevolmente alzati. Come si dice: oltre il danno, la beffa.
E, vi dico, sono stati tutti questi “dettagli” a farmi passare da “arriverò davanti al negozio alle 3 del mattino” a “ma che si tengano i loro vestiti, tanto il tutto esaurito lo faranno lo stesso, anche senza di me” e che mi hanno messo un velo di tristezza: il sold out lo faranno lo stesso sì, ma i (tanto agognati) vestiti alla fine, se non siete “fashion icons” o del settore (ma anche lì la bocca mi si storce), rimarranno per la gran parte del tempo chiusi negli armadi, perché non saprete mai quando metterli; peccato.

Che cosa ne pensate?
Vi auguro una splendida serata! :)


English Version



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